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L’oggetto coppia*
René Roussillon**
Introduzione
Per introdurre le riflessioni che vi propongo su ciò che viene chiamato l’“Edipo” mi pare necessario cominciare richiamando alcune questioni terminologiche che minano la discussione su questo tema e sono all’origine di un considerevole numero di malintesi.
Allorché, negli anni 1960, alcuni teorici della psicanalisi francese hanno proposto d’individuare i caratteri peculiari del “narcisismo” e delle istanze “narcisistiche” per opporli alla vita pulsionale, si è anche presa l’abitudine, tanto nella vulgata psicanalitica quanto nel dibattito corrente, di sovrapporre il pre-genitale con quello che si chiamava allora il “pre-edipico”, confondendo così la questione dell’organizzazione pulsionale con la matrice relazionale nella quale essa si dispiega. Questa inflessione concettuale, di cui si riscontra solo una modesta traccia in Freud stesso, è all’origine di tutta una serie di cambiamenti di paradigma della teoria (e si è assistito a tutto un fiorire di “buone madri edipiche” al posto delle matrigne “falliche” pre-genitali) che non sono sicuro abbiano contribuito a chiarire né la clinica né i dibattiti teorici. Nel mondo della psicoanalisi e, più in generale, nel mondo dei clinici che si riconoscono nella “clinica psicoanalitica”, nessuno è nella condizione di poter dettar legge sull’uso corretto dei concetti, e non si può far altro che accontentarsi di far progredire la riflessione attraverso il dibattito collettivo.
Personalmente ritengo che la mia posizione, tanto teorica quanto clinica, si sia andata chiarificando tramite una serie di distinzioni che costituiscono altrettanti elementi preliminari rispetto a quanto desidero sviluppare nella presente riflessione. Per quanto mi riguarda, distinguo con precisione ciò che si definisce “pre-genitale” e che concerne le organizzazioni libidiche infantili (anche se Freud riconosce l’esistenza di una organizzazione “genitale” infantile, preferisco continuare a parlare a tale proposito, per chiarezza concettuale, di organizzazione “fallica”) da una qualsiasi fase “pre-edipica” che per me è priva di senso. Tale posizione mi conduce a distinguere diversi assi della problematica edipica.
Ogni bambino, che lo voglia o meno, che ne abbia coscienza oppure no, si è costruito non solo in funzione del fatto che egli è il frutto dell’incontro sessuale di due adulti, ma anche in funzione del fatto che egli deve una parte importante della propria organizzazione psichica ai modi relazionali nei quali egli è stato immerso da bambino, e ai tipi di identificazione ai quali ha potuto ricorrere per affrontare la questione di tale influenza (Freud, 1921). Noi ci costruiamo con padre e madre[1], nell’incontro con le specificità dell’uno e dell’altra, nell’incontro con l’organizzazione relazionale della loro coppia. Il soggetto umano non è intelligibile per me se non si fa riferimento alla storia della sua costruzione rapportata con questa matrice identitaria, è qui tutta la questione della problematica edipica. Questa è anche la matrice del senso, poiché in tale prospettiva ciò che si produce con un oggetto non è mai totalmente intelligibile se non si fa riferimento a quello che si produce con un altro oggetto, un “oggetto dell’oggetto” poiché l’oggetto è anche un “altro-soggetto”, è anche soggetto di desideri che gli sono propri. Voglio dire che quando si è in relazione con la madre ciò che è in gioco con lei non può essere pensato senza essere riferito al padre al tempo stesso perché c’è un legame fondamentale tra i due genitori e anche perché il padre è anche un altro soggetto con le proprie caratteristiche e non solo un “oggetto” della vita pulsionale.
Questo principio è noto come quello di terzietà, significa che non esiste relazione umana senza un terzo, che quest’ultimo sia riconosciuto e rappresentato o meno, che sia incluso o escluso, che sia mascherato, rimosso, negato… È un principio di base, fondamento dell’ascolto clinico della relazione e del legame, ma ovviamente esso non enuncia che sia indifferente il fatto che il terzo sia riconosciuto o rappresentato o meno, che sia rimosso, escluso o incluso, che sia nascosto o manifesto… Del resto tutta la questione clinica sarà strettamente determinata da ciò che può essere riconosciuto e accettato riguardo al legame dell’oggetto con un terzo “oggetto dell’oggetto”, da ciò che di questo legame verrà rimosso, negato o separato. Da questo punto di vista l’Edipo è una “situazione” dell’intelligibilità umana [letteralmente, una “distribuzione di carte”, una “mano” (N.d.T.)], situazione presente fin dalla nascita, anche se a quell’età essa non può ancora essere cosciente e pienamente fatta propria.
Si tratta in effetti di una questione diversa rispetto a quella di sapere come questa “situazione” può essere fatta propria e come il soggetto umano può organizzarne la presenza e l’effetto. Se davvero la “situazione” edipica è presente fin da subito, essa non potrà essere fatta propria se non a partire dal momento in cui questo stato di fatto può essere messo in atto nelle relazioni, dal momento in cui esso può drammatizzarsi in seno agli scambi intrafamiliari. Questo momento è quello in cui qualcosa di già presente può essere messa in crisi e passare in primo piano, è il momento della “crisi edipica”, quello che viene chiamato con un’abbreviazione talvolta troppo frettolosa l’Edipo.
Torneremo più tardi sulla questione e sulle condizioni di questa “messa in crisi” della problematica edipica. Questa crisi, che è una crisi “identitaria”, una crisi delle condizioni in cui si instaura l’identità umana, essere figlio o figlia di padre e madre, intreccio di differenza dei sessi e di differenza delle generazioni, deve essere organizzata, o piuttosto il soggetto deve organizzarsi in questa crisi tanto quanto egli deve organizzare quest’ultima e i paradossi che essa implica. Non si “esce” dall’Edipo, esso non si “dissolve”; ci si organizza nell’Edipo, se ne organizza la crisi e le scappatoie, le possibili modalità di soddisfazione
Forme e condizioni della crisi edipica
Eccoci dunque con tre “forme” della questione dell’Edipo, quella del suo effetto strutturale o di pre-concezione, di potenzialità, se vogliamo utilizzare un linguaggio più moderno, quella della sua messa in crisi e quella della sua organizzazione. La nevrosi appare così non come una struttura edipica ma come uno dei suoi modi di organizzazione. Al contrario, la psicosi ci pone di fronte piuttosto a una soggettività che, se anche ha cominciato a confrontarsi con la crisi edipica, si è ritirata al di qua di quest’ultima, non riuscendo ad organizzare la crisi e ad organizzarsi nella crisi, non riuscendo a organizzare e riconoscere la funzione terza. Pertanto essa tende ad organizzarsi “contro” quello che non ha potuto né organizzare né significare, essa diviene anti-Edipo, ma l’anti-Edipo è “edipico”, è una forma dell’Edipo[2], una forma deformata dell’Edipo. Nei pazienti borderline ho spesso riscontrato che il terzo era nascosto, mascherato dietro processi incorporativi che lo rendevano a lungo irriconoscibile.
Non è mio proposito fare qui una psicopatologia delle forme dell’Edipo e mi limito a indicare di passaggio come possiamo pensare alla complessità delle forme dell’Edipo. Due grandi questioni si aprono. La prima concerne le condizioni che rendono la crisi edipica “accessibile”, cioè le condizioni che rendono possibile la sua messa in crisi. La seconda concerne la pertinenza e la generatività dei modi di organizzazione della crisi. Queste questioni sono enormi e servirebbe lo spazio di un libro per poter pretendere di cominciare a dischiudere le complessità che esse prefigurano. Io mi accontenterò di qualche osservazione per svilupparle, osservazioni rese più agevolmente formulabili grazie ad alcuni progressi della clinica contemporanea.
Schemi di essere e fare con
La mia prima osservazione si basa su una constatazione dei nostri colleghi delle neuroscienze e degli psicologi dello sviluppo: il bambino, e già il neonato, non fa confusione tra i suoi due genitori. Non c’è un oggetto primario a partire dal quale si genererebbe in un secondo momento una differenziazione padre/madre. I neonati “classificano” le esperienze che possono fare con l’uno o l’altro dei genitori in regioni diverse di sé, senza confusioni e già molto presto. La propria “categoria” madre si arricchisce e diviene progressivamente più complessa, e lo stesso accade per la sua “categoria” padre.
Allo stesso modo, i moderni teorici dell’attaccamento (penso in particolare a Elisabeth Fivaz-Depeursinge & Antoinette Corboz-Warnery [1999], della scuola del Lausanne Triadic Play [LTP]) mostrano che i neonati sono capaci molto presto di sviluppare una modalità di relazione non solo con l’uno o l’altro dei genitori, ma con l’interazione dei genitori tra loro, una relazione rispetto alla “coppia” genitoriale. Sussiste pertanto un “triangolo primario” e per il neonato esiste la possibilità di essere sensibile al modo d’interazione dei suoi due genitori e tutto ciò fin da molto presto. Non si tratta di ciò che viene chiamato un “Edipo precoce”, nozione basata sui fraintendimenti che sottolineavo in precedenza, ma della prova evidente della possibilità per il neonato di essere in contatto con la modalità di relazione che i suoi due genitori intrattengono tra di loro.
Se occorre cercare la matrice originaria del concetto di “coppia” nella prima infanzia, accanto al triangolo primario bisogna anche menzionare quello che Daniel Stern chiama “schemi di essere con”. L’ipotesi di Stern è che i neonati costruiscano, a partire dalla loro esperienza dell’incontro con la madre, il padre od ogni persona significativa del loro ambiente, un “modello” dell’incontro con loro e delle specificità di quest’ultimo. Questi “schemi di essere con” sono forme di ciò che Bowlby aveva chiamato «modelli operativi interni». In effetti, non si può più sostenere (Dornes, 2002) che i neonati abbiano una vita fantasmatica molto precoce, almeno senza modificare abbastanza in profondità il senso del concetto di fantasma e identificarlo completamente con il concetto di rappresentazione o con quello di processo. Ciò non significa dire che non vi siano rappresentazioni precoci, il funzionamento del cervello è di tipo fondamentalmente «rappresentativo» (Varela, 1989), basato sulla organizzazione di una decomposizione/ricomposizione associativa dell’esperienza, ma che esse non sono organizzate come dei “fantasmi” né come dei “fantasmi” (fantasmes e phantasmes). Sarebbero piuttosto delle “rappresentazioni” (représentactions) secondo la terminologia di J.D. Vincent (&&), ovvero delle rappresentazioni o degli schemi di azioni, delle rappresentazioni di un modo di rapporto all’altro, di azione reciproca dell’uno sull’altro, degli schemi elementari per trattare l’esperienza, degli schemi elementari di un “fare insieme” (pulsione). Comprendo che questo passaggio crei un problema a causa della posizione di Melanie Klein. I lavori compiuti dalle neuroscienze mostrano che non vi possono essere fantasmi precoci, per contro vi sono modelli direttamente provenienti dall’esperienza e dalle leggi di accomodamento associativo del cervello, non sono fantasmi ma modi di trattamento dell’esperienza. Si possono ricordare i pittogrammi di Piera Aulagnier, i significanti formali di Didier Anzieu o i significanti di demarcazione descritti da Guy Rosolato… Altrettante forme che io ho suggerito di ricondurre al concetto di “simbolizzazione primaria”.
La mia ipotesi è che questi “schemi di essere con” e di “fare insieme” siano le prime matrici di ciò che costituisce “essere e fare coppia”, che possano essere investiti come “oggetto” psichico, come “oggetto” per l’organizzare della pulsione. Ritengo dunque che questi schemi siano la preforma di ciò che diventerà l’“oggetto coppia”, al centro della configurazione edipica e organizzatore di quest’ultima. Quindi è sul versante della loro configurazione che mi pare occorra ricercare le condizioni di possibilità della crisi edipica, e in particolare della loro “apertura”, della loro generatività oggettivante (objectalisante). Mi spiego.
Presentazione del padre
Esiste un “momento critico” in seno alla relazione del neonato con sua madre, momento critico nel corso del quale, a prescindere dalla qualità della relazione del padre col neonato, la madre diviene elettivamente colei che può rassicurare il neonato. La cosa può apparire alquanto straordinaria allorquando, per esempio, è il padre il principale agente del maternage, come in alcune famiglie svedesi che – per diverse ragioni, tra cui ragioni economiche, come quando la madre guadagna più del padre – hanno “scelto” il padre per prendere il congedo di maternità.
Verso il settimo-ottavo mese, e in misura significativa, la madre diviene il “consolatore” principale mentre qualche settimana o persino qualche giorno prima il padre poteva assicurare ottimamente questa funzione in egual misura. La madre diviene «l’elemento regolatore del Sé» (Daniel Stern), colei alla quale è devoluta la funzione di specchio affettivo per il neonato. Da parte sua, Bollas ha proposto di indicare come “oggetto transizionale” questa funzione particolare dell’oggetto primario. Si è osservato che è durante questo “periodo critico” che qualcosa comincia a strutturarsi a proposito della “presentazione” del padre da parte della madre, cioè a proposito del senso del padre come oggetto sessuale della madre. Sullo sfondo di questa funzione regolatrice che fa della madre un oggetto come nessun altro, che fa della madre “l’oggetto” per eccellenza, il vettore primario della vita pulsionale, la “presentazione” del padre (come partner sessuale[3]) da parte della madre modifica il senso che egli assume all’interno della relazione. È il passaggio che fallirebbe nel processo di “forclusione del nome del padre” descritto da Lacan, fallimento nel processo attraverso il quale il padre è “designato” dalla madre come suo oggetto privilegiato, come suo referente.
È anche a proposito di questo tipo di fenomeno, quando invece esso si sviluppa in modo soddisfacente, che si è parlato di “Edipo precoce”. Questa “presentazione” ufficiale fornisce essa stessa la pre-forma e una delle pre-condizioni perché, allorché la questione della rappresentazione dell’oggetto assente sarà al centro dell’“ordine del giorno” della maturazione psichica, l’assenza della madre possa essere rappresentata come una “presenza altrove”, in modo specifico accanto al padre.
Fermiamoci un momento qui su un fatto psichico a mio parere non sufficientemente sottolineato. La possibilità di rappresentarsi che l’oggetto assente è presente altrove riposa sull’organizzazione e la conservazione della rappresentazione che, quando l’oggetto è assente, il bambino continua nondimeno a essere presente nella psiche materna. L’acquisizione della permanenza dell’oggetto, cioè la permanenza dell’investimento dell’oggetto (la permanenza cognitiva dell’oggetto è acquisita ben prima; Rochat 2006), presuppone la rappresentazione “allo specchio” di quella della permanenza del neonato per la madre. È a partire dalla constatazione che nell’assenza la madre non ha “dimenticato” il bambino che si instaura “allo specchio” l’investimento permanente dell’oggetto attraverso la rappresentazione di esso.
In un articolo intitolato “Parliamo di un bambino”, Jean-Luc Donnet (1976) ha sottolineato in numerose figure culturali così come in numerose sequenze cliniche di cura la frequenza della rappresentazione del fatto che, quando sono “tra loro”, i genitori parlano del bambino. Basta ricordarsi dell’inizio del racconto “Pollicino” per valutare la generatività di questa formazione. È anche qui il perché del fatto che, come ha sempre evidenziato Freud (1914), nel fantasma della scena primaria «il bambino assiste alla scena della propria concezione» (p. 516), egli è là, presente nel pensiero del padre e della madre nel momento stesso in cui è concepito. Nel pensiero, cosa che assicura una forma di continuità e di reciprocità, non “percettivamente concretizzata”, cosa che lo preserva e mantiene uno scarto, una differenza, una esclusione protettiva.
Così il bambino scivola progressivamente dall’organizzazione dei suoi “schemi di essere con l’oggetto” agli “schemi dell’oggetto di-essere-con-un altro oggetto” e qualcosa della sua relazione primaria con l’oggetto si trasferisce sulla relazione dell’oggetto con l’oggetto dell’oggetto. Egli passa dai modelli e dagli schemi della sua relazione con l’oggetto materno ai modelli e agli schemi della relazione di sua madre con suo padre.
Capacità di essere solo in presenza della coppia
Esiste poi un’altra esperienza soggettiva assolutamente essenziale ai fini dell’organizzazione psichica della sua relazione con “l’oggetto coppia”, una esperienza che si pone a metà strada tra l’“essere con”, il “fare insieme” e l’“essere escluso” dalla coppia, tra l’esperienza di essere al centro della coppia parentale e quella di esserne escluso. Winnicott (&&) ha evidenziato che tra assenza e presenza s’interpone l’esperienza di “essere solo in presenza dell’oggetto”; da parte mia, ho proposto di precisare la sua formulazione aggiungendo “solo davanti alla propria pulsione”. Nel solco dell’intuizione di Winnicott, ho suggerito di descrivere alcune forme secondarie dell’esperienza dell’“essere solo in presenza dell’oggetto”, specialmente quella dell’«essere solo in presenza della coppia» (Roussillon, 1995, 1999, 2008). In essa la coppia genitoriale è presente e i due genitori sono in relazione l’uno con l’altro. Anche il bambino è presente, ma gioca su una scena distinta, “a fianco”. Gioca a un gioco che potremmo chiamare “coppia”: gioca a “coppia”, forma primaria dei giochi di “padre-madre”. L’investimento pulsionale in seno alla coppia resta moderato, ma i due genitori sono presenti l’uno all’altro. La presenza del bambino è posta in latenza, “latentizzata”, pronta a risorgere se la discussione tra i genitori si riscalda un po’, dimenticata se essa si fa più appassionata.
Anche il bambino resta una presenza discreta, egli lascia sola in sua presenza la coppia genitoriale, nel suo gioco, in eco, egli esplora quello che si gioca sulla scena genitoriale, se ne appropria. Ma se il rapporto tra i due genitori minaccia di scaldarsi troppo, egli è pronto a ricordare la propria presenza e a tentare di interrompere ciò che così prende il via. L’interesse dell’esperienza soggettiva di “essere solo in presenza della coppia” risiede nel fatto che essa consente al bambino di esplorare contemporaneamente la doppia esperienza di essere solo e dunque di poter giocare all’“oggetto coppia”, e di essere in presenza della coppia per poter valutare l’impatto potenziale del suo gioco su di essa; egli è al contempo escluso dalla coppia e presente, egli è “a fronte” della coppia.
Ho avanzato l’ipotesi che questa esperienza soggettiva intermedia “predisponga” anche all’organizzazione della scena primaria, di una scena primaria in cui il bambino sarebbe insieme incluso ed escluso, contemporaneamente presente nella rappresentazione e assente di fatto, cioè la scena complementare. Per meglio comprendere questa “funzione anticipatrice e preparatoria” occorre prestare attenzione al fatto che se le esplosioni pulsionali che avvengono in seno alla coppia genitoriale sono elementi disorganizzatori rispetto alla qualità dell’“esperienza di essere solo in presenza della coppia”, al contrario la totale assenza di investimento pulsionale tra loro fa perdere ogni valore all’esperienza soggettiva. Allora bisogna dire “solo di fronte alla pulsione in presenza della coppia”. Ciò implica che uno dei “motivi” del gioco “essere e fare coppia” da parte del bambino debba essere cercato in ciò che è pur tuttavia pulsionalmente investito nella situazione, anche se tale investimento resta moderato. La mia ipotesi è che la posta in gioco è allora l’introiezione e l’integrazione “pezzo per pezzo” dei movimenti pulsionali in seno alla matrice concettuale dell’oggetto coppia, di questo organizzatore della configurazione edipica. È attraverso questo lavoro che le pulsioni si inscrivono nella questione della creatività e anche della creazione, è là che esse si organizzano e si ordinano progressivamente rispetto a quest’ultima.
Il gioco edipico
Le mie ultime osservazioni in questa panoramica, per forza di cose limitata, verteranno sulla drammatizzazione della messa in crisi dell’Edipo. Anzitutto una prima constatazione: il “triangolo edipico” non può essere pensato senza che esso sia integrato dalla questione della fratria
Questo aspetto è troppo spesso dimenticato nelle riflessioni sull’Edipo. È verosimile che gli aspetti traumatici del rapporto di Freud con i suoi fratelli (la morte di suo fratello Julius) e il relativo silenzio al quale questi l’hanno condotto hanno impedito a lungo di prendere in soddisfacente considerazione le matrici della questione della fratria in seno alla configurazione edipica[4]. Tuttavia, un certo numero di lavori negli ultimi anni[5] ha cominciato a porre l’accento sull’importanza del “complesso” fraterno e su diversi aspetti della questione dei fratelli e della fratria nella organizzazione psichica e nella regolazione narcisistica. Nondimeno, sulla base della mia conoscenza, non è stato enfatizzato il carattere essenziale (quasi strutturale) di questa questione nella configurazione edipica.
A mio giudizio l’apertura sulla questione della fratria, sia essa una condizione potenziale o effettivamente incarnata nella vita del bambino, costituisce parte integrante dell’analisi della configurazione edipica. Una coppia che non fosse pensata se non in funzione di un solo bambino resterebbe una coppia narcisistica, dal punto di vista del bambino, dal punto di vista del narcisismo del bambino. La generatività dell’oggetto coppia implica più di un bambino, essa comporta la potenzialità di più di un bambino, non potrebbe esaurirsi nell’unico bambino. La rivalità è al tempo stesso intragenerazionale e intergenerazionale; l’una va con l’altra e non può essere trattata senza l’altra.
La mia seconda osservazione verte sullo sviluppo e sulla progressiva accresciuta complessità degli schemi di “essere con” e di “fare insieme”, quest’ultima generata dall’integrazione delle forme complesse della differenziazione. In effetti le prime forme di questi schemi sono rette dalla questione dell’unione e della distinzione dell’Io e del non-Io, e anche se esse sono segnate fin da subito dalla differenza dei sessi e delle generazioni non sono percepite come organizzatrici. La progressiva introduzione della distinzione dei sessi e del suo carattere irreversibile finisce per accelerare le prime forme della crisi edipica. Il sistema di “consolazione anale” basato sul potenziale rovesciamento (“quando io sarò grande e tu sarai piccolo”) e sul differimento (“questo verrà fuori più tardi”), ciò che viene meno – scelta del corpo – tornerà più tardi) si trova poco a poco reso difettoso dalla costatazione progressiva del carattere irreversibile di questa differenza. La distinzione io/soggetto-altro, prima sempre temperata dall’azione di un fondo di relazione “in doppio” (Roussillon, 2004), incontra un punto di radicalizzazione che contribuisce ad accelerare la crisi e demolisce le difese narcisistiche precedenti. Allo stesso tempo questa radicalizzazione consentirà che gli aspetti non speculari della distinzione Io/soggetto-altro trovino un campo esperienziale per essere messi al lavoro, drammatizzati e dunque elaborati.
Ma l’irreversibilità ha anche ripercussioni sull’organizzazione della temporalità. Il “tempo anale” è un tempo ciclico, un tempo del “ritorno differito del medesimo”; ciò che viene perduto o lasciato sarà ritrovato identico più tardi. Il carattere irreversibile della differenza dei sessi si articola allora col carattere irreversibile della differenza di generazione e così nella temporalità cronologica che essa implica. Da quel momento, le “logiche” del tutto, che presiedono all’organizzazione del narcisismo infantile, urteranno con le constatazioni di fatto che abbiamo appena descritto. Se da un lato “l’oggetto coppia” si offre come la figura stessa in cui l’ideale narcisistico del tutto aveva creduto di potersi rifugiare, dall’altro questa figura si scontra con le forme complesse della differenziazione che gli sbarrano il rifugio. Da quel momento la drammatizzazione delle interazioni familiari testimoniano la lotta in seno a (o contro) questa problematica centrale.
Secondo una prima direzione, la logica del tutto tenta di conservarsi provando a escludere l’esclusione. Tutte le situazioni in cui la questione si pone, come per esempio il mettere a letto il bambino, vedranno strategie, anzi saranno preda di strategie, per tentare di impedirla. Il bambino vuole al proprio letto papà e mamma insieme, non appena i genitori iniziano a parlarsi o provano a stare insieme da soli, si manifesta una molteplicità di provocazioni che mirano a porre fine a quei tentativi… Allorquando il tutto si svolge in modo soddisfacente, i genitori tollerano che queste manovre ottengano un certo successo, e pongono anche dei limiti alla loro invasività nella vita familiare. Un altro “gioco” può allora svilupparsi, se non si può escludere l’esclusione quando questa riguarda uno o l’altro membro della famiglia, padre, madre o altro figlio. Il bambino della crisi edipica giocherà allora l’uno contro l’altro e proverà ad attaccare la coppia che lo esclude. Egli “combatterà le montagne” dei due giganteschi adulti, come nella storia del piccolo sarto, attivando quelle situazioni in cui può verificarsi un potenziale conflitto tra i due. Oppure egli giocherà sull’esclusione di uno dei due genitori, tentando di “far coppia” con l’altro. Al momento di andare a dormire egli sceglierà con cura chi tra suo padre e sua madre lo aiuterà a lavarsi i denti, a mettersi il pigiama, ad andare a dormire ecc.
Abbiamo raggiunto le figure classiche dell’Edipo ed è giunto il momento di fermarsi, salvo dire, per concludere, che non c’è “soluzione” dell’Edipo, quanto piuttosto l’organizzazione progressiva della conflittualità che lo permea, organizzazione che integrerà in modo fondamentale l’Edipo con i propri genitori e con le loro reazioni alle strategie messe in atto dal bambino. È questa organizzazione e quella del Super-Io che ne incarna la quintessenza che permetteranno la pacificazione della crisi.
La configurazione del Super-Io fisserà allora quelli che saranno le modalità di attualizzazione o di realizzazione dei desideri che possono essere messi in atto e quelle che cadranno sotto i colpi dei divieti; tale configurazione fisserà ciò che può essere attualmente realizzato in un atto, ciò che può essere realizzato solo in un atto linguistico e ciò che ci si deve limitare a pensare nell’intimità del “tribunale interiore”, cioè dell’intimità segreta del soggetto.
- Riassunto dell’articolo in carattere 9 e max 960 battute spazi inclusi. [Parole chiave: prima, seconda, terza, quarta, quinta]
- The object “couple”. Summary of the article in English max 960 characters spaces included. [Key words: first, second, third, fourth, fifth]
Bibliografia
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Raitin R. (&&). && In reference of this statament of you in Note 5: << Ricorderò a titolo esemplificativo lo studio sul fraterno di O. Bourguignon (&&) e quello ancor più recente di R. Raitin (&&).>>
Rochat P. (2006). && In reference of this statament of you: << L’acquisizione della permanenza dell’oggetto, cioè la permanenza dell’investimento dell’oggetto (la permanenza cognitiva dell’oggetto è acquisita ben prima; Rochat 2006)…>>
Roussillon R. (1995). && In reference of this statament of you: << Nel solco dell’intuizione di Winnicott, ho suggerito di descrivere alcune forme secondarie dell’esperienza dell’“essere solo in presenza dell’oggetto”, specialmente quella dell’«essere solo in presenza della coppia» (Roussillon, 1995, 1999, 2008).>>
Roussillon R. (1999). && In reference of this statament of you: << Nel solco dell’intuizione di Winnicott, ho suggerito di descrivere alcune forme secondarie dell’esperienza dell’“essere solo in presenza dell’oggetto”, specialmente quella dell’«essere solo in presenza della coppia» (Roussillon, 1995, 1999, 2008).>>
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Roussillon R. (2008). && In reference of this statament of you: << Nel solco dell’intuizione di Winnicott, ho suggerito di descrivere alcune forme secondarie dell’esperienza dell’“essere solo in presenza dell’oggetto”, specialmente quella dell’«essere solo in presenza della coppia» (Roussillon, 1995, 1999, 2008).>>
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Vincent J.D. (&&). In reference of this statament of you: <<…Sarebbero piuttosto delle “rappresentazioni” (représentactions)…>>
Winnicott D.W. (&&) In reference of this statament of you: <<ha evidenziato che tra assenza e presenza s’interpone l’esperienza di “essere solo in presenza dell’oggetto”; da parte mia, ho proposto di precisare la sua formulazione aggiungendo “solo davanti alla propria pulsione”.>>
* Relazione ai Seminari Internazionali di Psicoterapia e Scienze Umane, Bologna, 20 aprile 2013. Traduzione di Giovanni e Gabriele Vezzani.
** Université Lumière Lyon 2, 86 rue Pasteur, 69635 Lyon Cedex 07, France, E-Mail <rene.roussillon@orange.fr>, <rroussillon7@gmail.com>.
Psicoterapia e Scienze Umane, 2013, XLVII, &&: &&-&&
http://www.psicoterapiaescienzeumane.it
[1] Ovviamente occorre leggere la mia formula “padre e madre” come un’abbreviazione per dire: con ogni persona adulta significativa dell’infanzia, ove per significativa intendo pulsionalmente investita, cioè nella posizione di occupare il posto del padre o della madre.
[2] Jean-Luc Donnet & André Green (1973) sottolineano che l’Edipo può deformarsi per non soccombere; anche per loro non vi è un non-Edipo, e descrivono una forma, l’Edipo bi-scisso, che testimonia questa deformazione estrema “per non soccombere”.
[3] Che significa che la madre “designa” il padre come la “causa” di un tipo di emozioni che gli sono indirizzate in modo specifico, emozioni che contengono la pre-concezione di un padre come “partner” sessuale referenziale della madre.
[4] A tal proposito, si ricorderà qui che la questione dei fratelli, dell’orda di lupi, è uno degli argomenti centrali del libro di Deleuze & Guattari (1971) L’anti-Edipo, che a suo tempo fece discutere.
[5] Ricorderò a titolo esemplificativo lo studio sul fraterno di O. Bourguignon (&&) e quello ancor più recente di R. Raitin (&&).